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Nell’aprile 2009 abitavo ancora a Firenze, la mia città d’adozione per diversi anni, e mi stavo preparando a partire per il Canada. Due settimane prima della mia partenza un brutto ricordo fu segnato nella memoria collettiva quando alle 3,32 del 6 aprile l’Aquila fu colpita da un devastante terremoto di magnitudo 6.3.
Avevo avvertito la scossa nella notte e mi svegliai la mattina seguente con delle immagini alla tivù dell’Aquila, l’epicentro del terremoto, sotto le macerie.
Moririono 309 persone.
10 anni dopo, il 6 aprile 2019, per ricordare le vittime di quella tragedia, e per chiedere giustizia e prevenzione, si è tenuta una grande fiaccolata, un corteo numeroso e silenzioso.
Il corteo ha incluso tutta l’Italia, gli italiani, le istituzioni, anche i vigili del fuoco, loro stessi colpiti e soccorritori quella notte, per significare che queste ripetute tragedie ci toccano tutti.
Il Primo Ministro Conte ha sottolineato che, “abbiamo il dovere di ricordare.”
Ma onestamente, la memoria non basta. Nella notte della memoria si fanno i bilanci, purtroppo non positivi. L’Aquila è una città rinata a metà e tanto resta da fare per la ricostruzione. Si fanno i conti con quello che non si è fatto.
Ecco i dati:
Secondo i dati della ricostruzione quella privata sta andando bene oltre il 50%, mentre la ricostruzione pubblica è molto indietro con solo 20% di opere completate.
Intanto nessuna scuola è stata ricostruita e sola una è in via di ricostruzione.
10 mila persone vivono ancora nelle “new town” 19 agglomerati di casette temporanee nella periferia, ma quello che manca è il tessuto sociale ed economico per fare ripartire le comunità.
È mancata la ricostruzione morale. Infatti dopo la prima fase dell’emergenza inizia una ancora più grave, la ricostruzione della comunità che consente di rimanere nel proprio territorio. Si rischia che i piccoli borghi perdano la propria identità.
Cultura non di prevenzione:
Secondo Mario Tozzi, geologo italiano e conduttore del programma su Rai3 “Sapiens, un solo pianeta”, in 10 anni siamo riusciti a incorporare una cultura di rischio, ma non di prevenzione.
Una cosa che non si è capita, dice, è che il nostro paese è fatto di una grande bellezza, ma anche di terremoti. “Siamo fatti di borghi e faglie”
L’Italia è fatta così. L’unica cosa che possiamo fare è costruire bene, perché il terremoto non ti ammazza di suo. La casa costruita male sì. È una scelta culturale prima che tecnologica.
In questi 10 anni questo concetto ha fatto strada, ma non abbastanza.
Infatti, Luigi D’Angelo, direttore della Protezione Civile Italiana, spiega come i soldi spesi per l’emergenza e i soccorsi degli ultimi 3 terremoti in Italia potevano essere investiti per mettere in sicurezza il territorio nazionale.
Tra i terremoti dell’Aquila nel 2009, dell’Emilia Romagna nel 2012 e di Amatrice nel 2016, sono stati spesi circa 5 miliardi di euro per gestire le spese di emergenza, che ci ha permesso di accedere al Fondo di Solidarietà Europea che poi ha consentito di fare una stima della somma necessaria per ricostruire.
Il doppio di questa somma permetterebbe un’attività di ricostruzione in tutta l’Italia.
È un evento naturale che diventa catastrofico per colpa nostra precisa Mario Tozzi e che si potrebbe prevenire in 3 modi:
- stando attenti a dove si costruisce,
- costruendo bene,
- e restaurando gli edifici esistenti.
In Italia, infatti ci sono centri medievali che hanno retto bene al terremoto, come per esempio Santo Stefano di Sessanio in Abruzzo, Cerreto Sannita in Campania, e Grammichele a Catania.
In passato sapevamo costruire bene e sapevamo farlo anche rispetto agli eventi naturali.
Gli edifici che oggi crollano sono del 1918 in poi non quelli antichissimi.
Ci vorrebbe un piano nazionale antisismico come per esempio in Turchia, un paese non tanto più sviluppato dell’Italia.
Ci vogliono decisioni più stringenti sulle abitazioni private, una carta d’identità del posto dove si vive: ”il fascicolo del fabbricato” che si fatica a tirare fuori per paura di perdere valore nell’immobile.
Ma bisogna sapere:
- quando è stato costruito,
- come è stato fatto,
- su che terreno sta;
Piccoli interventi si possono fare anche sul già costruito. Infilando delle catene nei muri per tenere solidali i muri con i solai costa circa 100 euro al metro lineare e questo basta a salvarti la vita.
Piuttosto che pensare al grande arredamento dovremmo pensare prima a questo. E infine Tozzi consiglia un’assicurazione che ti consente di cavartela un po’ più da solo. Altrimenti si pesa sulla collettività, una cosa non giusta se non si è stati attenti a come costruire.
Norcia è un buon esempio di prevenzione. Quindi buone pratiche ci sono e vanno addottate.
Parliamo dei costi psicologici del terremoto:
La dottoressa Isabel Fernandez dell’EMDR, parla dei costi della salute mentale e dei traumi collettivi.
Le persone hanno reazioni che non vanno in remissione spontanea, soprattutto se restano nel luogo del disastro. Con il passare del tempo le cose non migliorano se non ricevono un aiuto di progettualità di medio e lungo intervento.
Come a San Giuliano dove nel terremoto del 2002 morì l’intera prima classe elementare del paese sotto il peso della scuola. Dal 2002 al 2012 le persone sono rimaste bloccate nel tempo e non riescono a sollevarsi, Bisogna quindi intervenire con metodi specialistici.
Esiste un percorso escursionistico solidale.
Si chiama ”Il cammino nelle Terre Mutate” ed è un percorso di 250 km a piedi da Fabbriano a l’Aquila attraversando 4 regioni, le Marche, l’Umbria, l’Abruzzo e il Lazio in aree colpite da terremoti. Un turismo che si ferma nei luoghi e li attraversa lentamente.
Si può percorrere da soli essendo il persorso segnato o anche in gruppi. È comunque sconsigliato nei mesi rigidi invernali siccome alcuni tratti sono ad alta quota.
Ci sono 14 tappe, provviste di stutture ricettive. Il transito in questi luoghi aiuta le comunità ad aggrapparsi ad una speranza di rinascita. L’intento è anche di riattivare un’economia legata al turismo lento e sostenibile, contrario a quello che affligge i centri storici tipo Firenze, Venezia e Roma.
Cosa sappiamo di certo del futuro:
Sappiamo che i prossimi terremoti colpiranno Catania, Irpinia, l’Emilia Romagna, e il Friuli.
Ma la prossima volta saremo preparati?
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