Questi 60 verbi sono fondamentali per viaggiare. Sono strumenti utili per comunicare bene.
Ecco in questo video i primi 3o verbi della lista dei 60 verbi italiani per viaggiare in Italia. Ascolta e ripeti i verbi e le frasi molte volte ad alta voce.
Scarica il PDF per avere la lista sempre con te mentre studi e viaggi.
These 60 verbs are essential for travel. They are useful tools for communicating well.
Here in this video are the first 30 verbs of the list of 60 Italian verbs for traveling in Italy. Listen and repeat the verbs and sentences out loud several times.
Download the PDF to always have the list with you while you study and travel.
Sapevate che gli antichi Romani hanno dedicato il mese di luglio a Giove per l’abbondanza di frutta, verdura e cibo?
E inoltre il nome luglio, “Iulius” in latino, deriva da Giulio Cesare essendo nato intorno alla metà del mese di luglio dell’anno 101 a.C. Prima di essere dedicato al primo imperatore romano da Marco Antonio, questo bel mese estivo si chiamava “Quintilis”, poiché era il quinto mese dell’anno nel calendario di Romolo.
Non c’è da stupirsi che luglio abbia tanti detti e proverbi sopratutto legatiall’agricoltura e alla saggezza dei nostri antenati. Vediamone insieme dieci. Nel video ho incluso brevi clip di undici magnifiche località italiane.
Guarda il video:
Quando luglio è molto caldo, bevi molto e tienti saldo.
significato: Fa caldissimo a luglio sia di notte che di giorno, quindi idratarsi e stare al fresco e indispensabile!
Quando piove a luglio, ti viene il batticuore.
significato: Le piogge esaltano i profumi e la natura tutta attorno risvegliando i nostri sensi e i nostri cuori.
Se luglio gran calura, a gennaio gran freddura.
significato: Se fa molto caldo a luglio si prevede un gennaio molto freddo.
Il mattino scuro di luglio non significa brutta giornata.
significato: Anche se la giornata inizia nuvolosa è molto probabile che il sole spunterà.
Luglio con sacco e staio – porta i chicchi nel granaio.
significato: Nel mese della mietitura il sacco si riempie di chicchi di grano.
Di luglio il temporale, dura poco e non fa male.
significato: A luglio i temporali vanno e vengono senza danni.
Non far tempeste, Luglio mio, sennò il mio vino addio.
significato: Le tempeste non fanno bene al raccolto che non riempiono le ceste d’uva.
Chi vuole un buon rapuglio, lo semini in luglio.
significato: Chi vuole ottenere un’ottima coltivazione di rape è bene che faccia la semina in luglio.
Con luglio soleggiato il vino è assicurato.
significato: Un cielo soleggiato fa crescere l’uva in abbondanza.
Luglio poltrone, porta la zucca col melone.
significato: L’essenza del mese di luglio è racchiusa in questo proverbio, perché è un mese generoso di frutta e finalmente di meritato riposo.
English version
Did you know that the ancient Romans dedicated the month of July to Jupiter for its abundance of fruit, vegetables and food?
And furthermore the name July, “Iulius” in Latin, derives from Julius Caesar having been born around the middle of July in the year 101 BC. Before being dedicated to the first Roman emperor by Mark Antony, this beautiful summer month was called “Quintilis”, since it was the fifth (quinto) month of the year in Romulus’ calendar.
It is no wonder that July has so many sayings and proverbs especially related to agriculture and the wisdom of our ancestors. In the video I included short clips of eleven magnificent Italian locations.
Quando luglio è molto caldo, bevi molto e tienti saldo. – When July is very hot, drink a lot and hold your ground. meaning: It’s very hot in July both at night and during the day, so hydrating and staying cool is essential!
Quando piove a luglio, ti viene il batticuore. – Rain in July makes your heart beat. meaning: The rains enhance the scents and nature all around, awakening our senses and our hearts.
Se Luglio gran calura, a Gennaio gran freddura. – If July is very hot, January is very cold. meaning: If it is very hot in July, a very cold January is expected.
Il mattino scuro di luglio non significa brutta giornata. – The dark morning of July does not imply a bad day. meaning: Even if the day starts cloudy it is very likely that the sun will come out.
Luglio con sacco e staio – porta i chicchi nel granaio. – July with sack and bushel – take the grains to the barn. meaning:In the month of harvest the sack is filled with wheat grains.
Di luglio il temporale, dura poco e non fa male. – The storm in July is short time and causes no damage. meaning: In July, storms come and go without damage.
Non far tempeste, Luglio mio, sennò il mio vino addio. – Don’t make storms, my July, otherwise to my wine I’ll say goodbye. meaning: Storms are not good for the harvest as they do not fill the baskets with grapes.
Chi vuole un buon rapuglio, lo semini in luglio. – Those who want a good turnip crop should sow it in July. meaning: Those who want to obtain an excellent cultivation of turnips should sow in July.
Con luglio soleggiato il vino è assicurato. – With sunny July, wine is guaranteed; meaning: A sunny sky makes grapes grow in abundance.
Luglio poltrone, porta la zucca col melone. – Lazy July, brings pumpkins and melons. meaning: The essence of the month of July is contained in this proverb, because it is a generous month of fruit and finally of well-deserved rest
The celiac baker of the Renaissance| An Italian short story
(English follows)
Nell’incantevole città di Firenze, nell’italia del XVI secolo, viveva un talentuoso fornaio di nome Lapo. Era rinomato per il suo delizioso pane, le paste e tutti i suoi prodotti da forno che riempivano l’aria di aromi invitanti. Da ragazzo, Lapo aveva sempre amato cucinare insieme al padre, proprietario di un piccolo forno nel cuore di Firenze, e crescendo si appassionò sempre più all’arte della panificazione, sperimentando nuove ricette e tecniche.
Ma i fiorentini non sapevano che Lapo soffriva di una misteriosa malattia nota come celiachia. A quei tempi la conoscenza del glutine e dei suoi effetti sull’organismo era limitata e la condizione di Lapo veniva spesso sottovalutata dai suoi colleghi fornai. Il ventre gli faceva male e si gonfiava dopo aver consumato anche la più piccola quantità di grano, orzo o segale.
I sintomi della malattia tra cui febbri ed emicranie erano debilitanti, comunque nonostante le sue difficoltà, Lapo rifiutò di rinunciare alla sua passione per la panificazione. Sperimentò farine alternative, come il riso e la farina di granoturco, il miglio e la farina di ceci, tuttavia non avevano la stessa consistenza né il sapore del grano. I suoi genitori erano preoccupati per la sua salute e lo spingevano ad abbandonare il suo sogno di diventare fornaio. Malgrado ciò Lapo era determinato a seguire il suo sogno di diventare il miglior fornaio di Firenze.
Un giorno, mentre si cimentava con farine varie, Lapo scoprì che la farina di avena e la farina di grano saraceno non solo erano prive di glutine ma producevano anche un’ottima consistenza ed erano gustose.
Dopo mesi di tentativi ed errori, Lapo finalmente perfezionò le sue ricette utilizzando una combinazione di farine senza glutine. I suoi prodotti da forno erano deliziosi e sicuri da consumare. La notizia delle sue creazioni senza glutine si diffuse rapidamente in tutta Firenze e presto la gente si accalcò nel suo forno per assaggiare le sue prelibatezze.
I suoi pani, fragranti di erbe aromatiche, e decorati con motivi intricati, erano diversi da qualsiasi cosa mai assaggiata prima. L’inebriante profumo dei biscotti appena sfornati attirava anche i palati più esigenti.
Iniziò a fornire pane e maccheroni senza glutine a trattorie e conventi, contentando il crescente numero di persone con restrizioni dietetiche. I cittadini si meravigliarono del fatto che le creazioni di Lapo fossero non solo deliziose bensì soprattutto nutrienti per coloro che prima non avevano potuto godere di tali delizie. Infatti il grano saraceno e l’avena godevano di un eccellente profilo nutrizionale
Lapo si guadagnò la lode e l’ammirazione dello stesso Duca di Firenze che si accorse della sua ingegnosità e lo invitò a diventare il fornaio ufficiale della corte. Lapo era talmente grato dell’opportunità che lavorava instancabilmente per creare piatti senza glutine squisiti e unici per la corte reale. Le sue paste, tra cui i maccheroni e i vermicelli, venivano condite con uvette e il pane preparato con erbe odorifere e olive.
Siccome Lapo aveva un cuore grande, regalava ai poveri il pane che costituiva la base della loro dieta, e lo mangiavano semplicemente senza condimenti. Potevano contare sulla generosità di Lapo per avere pane ai loro funerali e ai loro matrimoni.
Con il passare degli anni il forno di Lapo divenne sinonimo di eccellenza e innovazione. Le sue creazioni erano ricercate da persone provenienti da tutta Italia, e la sua fama di maestro fornaio si diffuse in lungo e in largo persino in Europa. Nonostante le sfide che dovette affrontare a causa della celiachia, la passione di Lapo per la panificazione lo portò a creare qualcosa di veramente speciale, un’eredità che sarebbe stata ricordata dalle future generazioni di fornai che avrebbero seguito le sue orme.
E così questa storia serve a ricordarci che anche di fronte alle avversità, la determinazione e la creatività possono portare a risultati notevoli. Per Lapo, il fornaio celiaco del Rinascimento, la passione per la panificazione era diventata non solo una vocazione ma un modo per fare la differenza nella vita degli altri.
Racconto di Mirella Colalillo
Leggi il seguente articolo e scarica il PDF con il vocabolario dei cibi senza glutine:
Read the article above and download the PDF with the vocabulary of gluten-free foods
English version
In the enchanting city of Florence in 16th century Italy, there lived a talented baker named Lapo. He was renowned for his delicious breads, pastries and all his baked goods which filled the air with inviting aromas. As a boy, Lapo had always loved cooking together with his father, owner of a small bakery in the heart of Florence, and as he grew up he became increasingly passionate about the art of baking, experimenting with new recipes and techniques.
But the Florentines did not know that Lapo suffered from a mysterious disease known as celiac disease. At that time, knowledge of gluten and its effects on the body was limited and Lapo’s condition was often underestimated by his fellow bakers. His belly ached and bloated after consuming even the smallest amount of wheat, barley or rye.
The symptoms of the disease including fevers and migraines were debilitating, nonetheless despite his difficulties, Lapo refused to give up his passion for baking. He experimented with alternative flours, such as rice and corn flour, millet and chickpea flour, however they did not have the same consistency or flavor as wheat. His parents were worried about his health and urged him to abandon his dream of becoming a baker. Regardless of this Lapo was determined to follow his dream of becoming the best baker in Florence.
One day, while experimenting with various flours, Lapo discovered that oat flour and buckwheat flour were not only gluten-free but also produced an excellent texture and were tasty. After months of trial and error, Lapo finally perfected his recipes using a combination of gluten-free flours. His baked goods were delicious and safe to consume. News of his gluten-free creations quickly spread throughout Florence and soon people were flocking to his bakery to sample his delicacies.
His breads, fragrant with aromatic herbs, and decorated with intricate patterns, were unlike anything anyone had ever tasted before. The heady scent of freshly baked biscuits attracted even the most demanding palates.
He began supplying gluten-free bread and macaroni to trattorias and convents, catering to the growing number of people with dietary restrictions. The citizens were amazed at the fact that Lapo’s creations were not only delicious but above all nutritious for those who had not previously been able to enjoy such delights. In fact, buckwheat flour and oat flour provided an excellent nutritional profile
Lapo earned the praise and admiration of the Duke of Florence himself who noticed his ingenuity and invited him to become the official baker of the court. Lapo was so grateful for the opportunity that he worked tirelessly to create exquisite and unique gluten-free dishes for the royal court. His pastas including macaroni and vermicelli were seasoned with raisins and his breads prepared with odoriferous bulbs and olives.
Since Lapo had a big heart, he gave bread to the poor which was the basis of their diet, and they ate it simply without condiments. They could count on Lapo’s generosity to provide bread for their funerals and weddings.
Over the years, Lapo’s bakery became synonymous with excellence and innovation. His creations were sought after by people from all over Italy, and his fame as a master baker spread far and wide even into Europe. Despite the challenges he faced due to celiac disease, Lapo’s passion for bread making led him to create something truly special, a legacy that would be remembered by future generations of bakers who would follow in his footsteps.
And so this story serves to remind us that even in the face of adversity, determination and creativity can lead to remarkable results. For Lapo, the celiac baker of the Renaissance, the passion for baking had become not only a vocation but a way to make a difference in the lives of others.
Come funzionano il discorso diretto e il discorso indiretto?
Per esprimere quello che viene detto da qualcuno si usano due modi differenti: il discorso diretto (frasi dette) e il discorso indiretto (frasi riportate)
1) Maria: “Vai a casa!” – discorso diretto 2) Maria ha detto di andare a casa. – discorso indiretto
Nell’esempio qui sopra abbiamo due frasi diverse:
Nella prima frase vengono scritte esattamente le parole pronunciate da Maria; Maria dice a qualcuno di andare a casa.
Mentre nel secondo caso un narratore riporta la frase di Maria.
DISCORSO DIRETTO
Nel discorso diretto si trascrivono le stesse parole pronunciate dai soggetti all’interno di segni grafici distintivi (< > , ” “ , – ). Il discorso diretto può essere introdotto dai due punti ( : ).
IL DISCORSO INDIRETTO
Nel discorso indiretto si racconta ciò che è stato detto, introdotto di norma con “che“, “a“, “di“, “se“.
DA DIRETTO A INDIRETTO
Un discorso diretto può trasformarsi in un discorso indiretto (e viceversa), ma per avere una frase comprensibile e grammaticalmente corretta si devono cambiare i segni di punteggiatura, i pronomi, i tempi e i modi verbali e gli eventuali aggettivi.
Regola
Discorso diretto
Discorso indiretto
presente -> imperfetto
Lucia ha detto: “vado a Milano”.
Lucia ha detto che andava a Milano.
passato prossimo -> trapassato prossimo
Lucia ha detto: “sono andata a Milano”.
Lucia ha detto che era andata a Milano.
futuro -> condizionale passato
Lucia ha detto: “andrò a Milano”.
Lucia ha detto che sarebbe andata a Milano.
condizionale presente -> condizionale passato
Lucia ha detto: “andrei a Milano”.
Lucia ha detto che sarebbe andata a Milano.
imperfetto -> imperfetto
Lucia ha detto: “andavo a Milano”.
Lucia ha detto che andava a Milano.
imperativo -> infinito
Lucia ha detto: “andiamo Milano”.
Lucia ha detto di andare a Milano.
Prova ad esercitarti: scrivi nei commenti sotto una frase in discorso diretto e trasformala in discorso indiretto.
Scarica qui il programma dei primi 4 moduli dell’Accademia dei Verbi.
Fai alcune lezioni gratuite.
English version
How do direct speech and indirect speech work?
Two different ways are used to express what someone says: direct speech (spoken sentences) and indirect speech (reported sentences).
1) Maria: “Vai a casa!” – direct speech – Maria: ” Go home!” 2) Maria ha detto di andare a casa. – indirect speech – Maria said to go home.
In the example above we have two different sentences:
In the first sentence the exact words spoken by Mary are written; Maria tells someone to go home.
While in the second case a narrator reports Maria’s sentence.
DIRECT SPEECH
In direct speech, the same words pronounced by the characters are transcribed within distinctive graphic signs (< > , ” ” , – ). Direct speech can be introduced by colons ( : )
INDIRECT SPEECH
In indirect speech we tell what has been said, usually introduced with “che“, “a“, “di“, “se“. (“that”, “to”, “of”, “if”)
FROM DIRECT TO INDIRECT
Direct speech can transform into indirect speech (and vice versa), but for the sentence to be understandable and grammatically correct, the punctuation marks, pronouns, tenses and verbal forms and any adjectives must be changed.
Regola
Discorso diretto
Discorso indiretto
presente -> imperfetto
Lucia ha detto: “vado a Milano”.
Lucia ha detto che andava a Milano.
passato prossimo -> trapassato prossimo
Lucia ha detto: “sono andata a Milano”.
Lucia ha detto che era andata a Milano.
futuro -> condizionale passato
Lucia ha detto: “andrò a Milano”.
Lucia ha detto che sarebbe andata a Milano.
condizionale presente -> condizionale passato
Lucia ha detto: “andrei a Milano”.
Lucia ha detto che sarebbe andata a Milano.
imperfetto -> imperfetto
Lucia ha detto: “andavo a Milano”.
Lucia ha detto che andava a Milano.
imperativo -> infinito
Lucia ha detto: “andiamoa Milano”.
Lucia ha detto di andare a Milano.
Try to practice: write a sentence in direct speech in the comments below and transform it into indirect speech.
The massacres of the foibe – The Day of Remembrance
(English follows)
Alla fine della Seconda guerra mondiale almeno 20mila italiani delle ex province italiane della Venezia Giulia, dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia sono torturati, assassinati e gettati nelle foibe (le fenditure carsiche usate come discariche) dalle milizie della Jugoslavia di Tito; almeno 250mila gli esuli italiani costretti a lasciare le loro case.
Il 10 febbraio 2004 veniva approvata la legge 92/2004 che istituiva il Giorno del Ricordo per le vittime delle foibe. Da allora ogni anno viene celebrata questa data al fine di non dimenticare tutte le vittime delle foibe, dell’esodo degli istriani, fiumani e dalmati dalle loro terre.
Ancora oggi la memoria di quelle vittime è un tema che divide. Per quasi sessant’anni questi drammatici eventi della storia italiana sono stati dimenticati.
Per il 20° anniversario del Giorno del Ricordo ricostruiamo questa pagina della storia.
La fine della guerra. Nel 1943, dopo tre anni di guerra, il regime fascista di Mussolini decreta il proprio fallimento. Si scioglie il Partito fascista, si ha la resa e lo sfaldamento delle nostre Forze Armate. L’Italia è in ginocchio.
La vendetta di Tito. Le forze politiche comuniste guidate da Josip Broz, “Tito”, sconfiggono i fascisti croati e i “domobranzi”, ragazzi di leva sloveni, chiamati alle armi da Lubiana a partire dal 1940, quando la Slovenia viene incorporata nell’Italia divenendone una provincia autonoma.
Proprio dopo la firma dell’armistizio, l’8 settembre 1943 esplode la prima ondata di violenza: in Istria e in Dalmazia i partigiani jugoslavi di Tito si vendicano contro i fascisti che, nell’intervallo tra le due guerre, hanno amministrato questi territori con durezza, imponendo un’italianizzazione forzata e reprimendo e osteggiando le popolazioni slave locali.
Alla fine del 1943 i fascisti e tutti gli italiani non comunisti vengono considerati nemici del popolo con il crollo del regime. Vengono prima torturati e poi gettati nelle foibe dove muoiono circa un migliaio di persone.
L’italianizzazione della Dalmazia e della Venezia Giulia durante il fascismo segue il modello francese: una serie di provvedimenti di legge, come l’italianizzazione della toponomastica e dei nomi propri, e la chiusura delle scuole bilingue.
Inizia la battaglia di (ri)conquista della Slovenia e Croazia – annesse al Terzo Reich- da parte di Tito e i suoi uomini, fedelissimi di Mosca. L’obiettivo è di impadronirsi non solo della Dalmazia e della penisola d’Istria (dove c’erano borghi e città con comunità italiane sin dai tempi della Repubblica di Venezia), ma di tutto il Veneto, fino all’Isonzo.
Il freno dei nazisti. I partigiani jugoslavi sono frenati fino alla fine dell’aprile del 1945 dai tedeschi con stragi, rappresaglie, paesi incendiati e distrutti, ma con il crollo del Terzo Reich nulla ormai può più fermare gli uomini di Tito. Nella primavera del 1945 l’esercito jugoslavo occupa l’Istria e punta verso Trieste.
La liberazione degli alleati. Le truppe alleate avanzano dal sud della penisola. E’ una vera e propria gara di velocità. La prima formazione alleata libera Venezia e poi Trieste.
Gli jugoslavi si impadroniscono di Fiume e di tutta l’Istria interna, iniziando le feroci esecuzioni contro gli italiani. Ma non riescono ad assicurarsi la città, il porto e le fabbriche di Trieste, la preda più ambita. La rabbia degli uomini di Tito si scatena allora contro persone inermi.
I numeri delle vittime. l numero degli infoibati e dei massacrati da Tito è ben superiore a quello temuto dal premier italiano De Gasperi. Le uccisioni di italiani – nel periodo tra il 1943 e il 1947 – sono almeno 20mila; gli esuli italiani costretti a lasciare le loro case almeno 250mila.
Come si moriva nelle foibe. Carabinieri, poliziotti e guardie di finanza, i pochi militari fascisti della RSI e i collaborazionisti sono i primi a finire in foiba nel 1945 non riuscendo a scappare per tempo. Si prendono le mogli, i figli o i genitori in mancanza di questi.
Il metodo delle uccisioni è spaventosamente crudele. I condannati vengono legati l’un l’altro con un lungo filo di ferro stretto ai polsi, e schierati sugli argini delle foibe. Quindi si apre il fuoco non su tutto il gruppo, ma soltanto sui primi tre o quattro della catena. Precipitando nell’abisso, morti o gravemente feriti, trascinano con sé gli altri, condannati a sopravvivere per giorni sui fondali delle voragini, sui cadaveri dei loro compagni.
Tremila persone soltanto nella zona triestina, vengono gettate nella foiba di Basovizza e nelle altre foibe del Carso.
Il dramma di Fiume e il destino dell’istria. Avviene una fuga di massa. Entro la fine del 1946, 20.000 persone lasciano la città, abbandonando case, averi, terreni. La città di Fiume si spopola e interi nuclei familiari raggiungono l’Italia ben prima della conclusione della Conferenza della pace di Parigi (1947), alla quale sono legate le sorti dell’Istria e della Venezia Giulia, come dichiara Churchill.
La conferenza di pace di Parigi. Alla fine del 1946 la questione italo-jugoslava diventa per molti un peso che intralcia la soluzione di altre questioni considerate più importanti. Gli Alleati vogliono trovare una soluzione per Vienna e Berlino; l’Unione Sovietica deve sistemare la divisione della Germania. L’Italia è alle prese con la transizione tra monarchia e repubblica.
Bisogna determinare il confine tra Italia e Jugoslavia. Il dramma delle terre italiane dell’Est si conclude con la firma del trattato di pace di Parigi il 10 febbraio 1947. Alla fine viene deciso di seguire l’opzione suggerita dalla Francia: l’Italia consegna alla Jugoslavia numerose città e borghi a maggioranza italiana rinunciando per sempre a Zara, alla Dalmazia, alle isole del Quarnaro, a Fiume, all’Istria e a parte della provincia di Gorizia.
L’esodo. Il trattato di pace di Parigi regala alla Jugoslavia il diritto di confiscare tutti i beni dei cittadini italiani, con l’accordo che verranno poi indennizzati dal governo di Roma.
Questo causa due ingiustizie: Prima di tutto l’esodo forzato delle popolazioni italiane istriane e giuliane che fuggono a decine di migliaia, abbandonando tutto. E, in seguito, il mancato risarcimento.
La maggioranza degli esuli emigra in varie parti del mondo cercando una nuova patria: in Sud America, in Australia, in Canada e negli Stati Uniti.
Interesse politico in atti d’ufficio. Tanti riescono a sistemarsi faticosamente in Italia, nonostante gli ostacoli creati dai ministri del partito comunista che, favorevoli alla Jugoslavia, minimizzano la portata della diaspora.
Emilio Sereni, che ricopre la carica di ministro per l’Assistenza post-bellica, è tra questi. Rifiuta di ammettere nuovi esuli nei campi profughi di Trieste con la scusa che non c’era più posto e parla di «fratellanza italo-slovena e italo-croata». Sostiene la necessità di scoraggiare le partenze e di costringere gli istriani a rimanere nelle loro terre, affermando che le notizie sulle foibe erano “propaganda reazionaria”.
Il giorno del ricordo. E’ difficile capire come una simile tragedia sia stata taciuta per quasi sessant’anni fino a quando il Parlamento approva nel 2004 la “legge Menia” (dal nome del deputato triestino Roberto Menia, che l’ha proposta) sulla istituzione del “Giorno del Ricordo”.
Per decenni la tacita complicità tra le forze politiche centriste e cattoliche da una parte, e quelle di estrema sinistra dall’altra e’ crollata soltanto dopo il 1989 con il crollo del muro di Berlino e l’autoestinzione del comunismo sovietico.
Incominciava ad aprirsi qualche crepa: – Il 3 novembre 1991 l’allora presidente della Repubblica Francesco Cossiga si reca in pellegrinaggio alla foiba di Basovizza e chiede perdono in ginocchio per un silenzio durato cinquant’anni. – Poi la TV pubblica arriva con la fiction Il cuore nel pozzo. – l’11 febbraio 1993, un altro presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, si reca in omaggio davanti al sacrario di Basovizza.
Finalmente abbiamo tutti potuto conoscere la tragedia delle terre orientali italiane e le sofferenze subìte dagli italiani della Venezia Giulia, dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia.
English version
At the end of the Second World War at least 20 thousand Italians from the former Italian provinces of Venezia Giulia, Istria, Fiume and Dalmatia were tortured, murdered and thrown into foibe (karst fissures used as landfills) by the militias of Tito’s Yugoslavia; at least 250 thousand Italian exiles forced to leave their homes.
On 10 February 2004, law 92/2004 was approved which established the Day of Remembrance for the victims of the foibe. Since then this date has been celebrated every year in order not to forget all the victims of the Foibe, of the exodus of Istrians, Fiumans and Dalmatians from their lands.
Even today the memory of those victims is a divisive issue. For almost sixty years these dramatic events in Italian history were forgotten.
For the 20th anniversary of Remembrance Day we’ll reconstruct this page of history.
The end of the war. In 1943, after three years of war, Mussolini’s fascist regime decreed its failure. The fascist party dissolves, there is the surrender and disintegration of our Armed Forces. Italy is on its knees.
The collapse of the Italian army fatally involves the two capitals, Zagreb (Croatia) and Ljubljana (Slovenia), the two Balkan regions bordering Italy.
Tito’s revenge. The communist political forces led by Josip Broz, “Tito”, defeated the Croatian fascists and the “domobranzi”, Slovenian conscripts, called to arms by Ljubljana starting from 1940, when Slovenia was incorporated into Italy, becoming one autonomous province.
Precisely after the signing of the armistice, the first wave of violence exploded on 8 September 1943: in Istria and Dalmatia, Tito’s Yugoslav partisans took revenge against the fascists who, in the interval between the two wars, administered these territories with harshness, imposing forced Italianization and repressing and opposing the local Slavic populations.
At the end of 1943 the fascists and all non-communist Italians are considered enemies of the people with the collapse of the regime. They are first tortured and then thrown into the foibe sinkholes where around a thousand people die.
The Italianization of Dalmatia and Venezia Giulia during fascism followed the French model: a series of legal provisions, such as the Italianization of toponymy and proper names, and the closure of bilingual schools.
The battle of (re)conquest of Slovenia and Croatia – annexed to the Third Reich – by Tito and his men, loyal to Moscow, begins. The objective is to take over not only Dalmatia and the Istrian peninsula (where there were villages and cities with Italian communities since the times of the Republic of Venice), but the entire Veneto, up to the Isonzo.
The brake of the Nazis. The Yugoslav partisans are held back until the end of April 1945 by the Germans with massacres, reprisals, towns set on fire and destroyed, but with the collapse of the Third Reich nothing could stop Tito’s men anymore. In the spring of 1945 the Yugoslav army occupies Istria and heads towards Trieste.
The liberation of the allies. Allied troops advance from the south of the peninsula. It’s a real speed race. The first Allied formation liberates Venice and then Trieste.
The Yugoslavs take over Fiume and all of internal Istria, starting ferocious executions against the Italians. But they fail to secure the city, the port and the factories of Trieste, the most coveted prey. The anger of Tito’s men is then unleashed against defenseless people.
The numbers of victims. The number of those defeated and massacred by Tito is much higher than that feared by the Italian Prime Minister De Gasperi. The killings of Italians – in the period between 1943 and 1947 – were at least 20 thousand; at least 250 thousand Italian exiles forced to leave their homes.
How people died in the foibe. Carabinieri, policemen and financial police, the few fascist soldiers of the RSI and the collaborators were the first to end up in the foiba in 1945, failing to escape in time. They take wives, children or parents in the absence of these.
The killing method is appallingly cruel. The condemned are tied to each other with a long wire tightened around their wrists, and lined up on the banks of the foibe. Then fire is opened not on the entire group, but only on the first three or four of the chain. Falling into the abyss, dead or seriously injured, they drag the others with them, condemned to survive for days on the bottom of the chasms, on the corpses of their companions.
Three thousand people in the Trieste area alone are thrown into the Basovizza foiba and the other sinkholes in the Carso.
The drama of Fiume and the fate of Istria. A mass escape occurs. By the end of 1946, 20,000 people leave the city, abandoning homes, belongings and land. The city of Fiume becomes depopulated and entire families reach Italy well before the conclusion of the Paris Peace Conference (1947), to which the fate of Istria and Venezia Giulia were linked, as Churchill declares.
The Paris Peace Conference. At the end of 1946, the Italian-Yugoslav question becomes a burden for many hindering the solution of other issues considered more important. The Allies want to find a solution for Vienna and Berlin; the Soviet Union must fix the division of Germany. Italy is grappling with the transition between monarchy and republic.
The border between Italy and Yugoslavia must be determined. The drama of the Italian lands in the East ends with the signing of the Paris Peace Treaty on 10 February 1947. In the end it;sdecided to follow the option suggested by France: Italy hands over numerous cities and villages with an Italian majority to Yugoslavia forever giving up Zadar, Dalmatia, the Kvarner islands, Fiume, Istria and part of the province of Gorizia.
The exodus. The Paris Peace Treaty gives Yugoslavia the right to confiscate all assets of Italian citizens, with the agreement that they will then be compensated by the government in Rome.
This causes two injustices: First of all the forced exodus of the Italian Istrian and Julian populations who flee by the tens of thousands, abandoning everything. And, subsequently, the lack of compensation.
The majority of exiles emigrate to various parts of the world looking for a new homeland: in South America, Australia, Canada and the United States.
Political interest in official acts. Many manage to settle in Italy with difficulty, despite the obstacles created by the ministers of the communist party who, in favor of Yugoslavia, minimize the extent of the diaspora.
Emilio Sereni, who holds the position of minister for post-war assistance, is among these. He refuses to admit new exiles into the refugee camps of Trieste with the excuse that there is no more room and speaks of “Italian-Slovenian and Italian-Croatian brotherhood”. He supports the need to discourage departures and force Istrians to remain in their lands, stating that the news about the foibe were “reactionary propaganda”.
The day of remembrance. It is difficult to understand how such a tragedy was kept quiet for almost sixty years until Parliament approved the “Menia law” in 2004 (named after the Trieste MP Roberto Menia, who proposed it) on the establishment of the “Day of Rememberance”.
For decades the tacit complicity between the centrist and Catholic political forces on the one hand, and those of the far left on the other collapsed only after 1989 with the collapse of the Berlin Wall and the self-extinction of Soviet communism.
Some cracks were starting to open:
On 3 November 1991, the then President of the Republic Francesco Cossiga went on a pilgrimage to the Basovizza foiba and asked for forgiveness on his knees for a silence that had lasted fifty years.
Then public TV arrives with the fiction The Heart in the Well.
on 11 February 1993, another President of the Republic, Oscar Luigi Scalfaro, paid homage in front of the Basovizza shrine.
We were finally all able to learn about the tragedy of the eastern Italian lands and the suffering enduredby the Italians of Venezia Giulia, Istria, Fiume and Dalmatia.
Io se fossi in te leggerei anche questi (If I were you, I’d also read these):