Questi 60 verbi sono fondamentali per viaggiare. Sono strumenti utili per comunicare bene.
Ecco in questo video i primi 3o verbi della lista dei 60 verbi italiani per viaggiare in Italia. Ascolta e ripeti i verbi e le frasi molte volte ad alta voce.
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Puoi guadare la PRIMA PARTE qui (you can watch the first part here)
These 60 verbs are essential for travel. They are useful tools for communicating well.
Here in this video are the first 30 verbs of the list of 60 Italian verbs for traveling in Italy. Listen and repeat the verbs and sentences out loud several times.
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RIPETI DI NUOVO LA PRIMA PARTE: / repeat the first part again:
Questi 60 verbi sono fondamentali per viaggiare. Sono strumenti utili per comunicare bene.
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The celiac baker of the Renaissance| An Italian short story
(English follows)
Nell’incantevole città di Firenze, nell’italia del XVI secolo, viveva un talentuoso fornaio di nome Lapo. Era rinomato per il suo delizioso pane, le paste e tutti i suoi prodotti da forno che riempivano l’aria di aromi invitanti. Da ragazzo, Lapo aveva sempre amato cucinare insieme al padre, proprietario di un piccolo forno nel cuore di Firenze, e crescendo si appassionò sempre più all’arte della panificazione, sperimentando nuove ricette e tecniche.
Ma i fiorentini non sapevano che Lapo soffriva di una misteriosa malattia nota come celiachia. A quei tempi la conoscenza del glutine e dei suoi effetti sull’organismo era limitata e la condizione di Lapo veniva spesso sottovalutata dai suoi colleghi fornai. Il ventre gli faceva male e si gonfiava dopo aver consumato anche la più piccola quantità di grano, orzo o segale.
I sintomi della malattia tra cui febbri ed emicranie erano debilitanti, comunque nonostante le sue difficoltà, Lapo rifiutò di rinunciare alla sua passione per la panificazione. Sperimentò farine alternative, come il riso e la farina di granoturco, il miglio e la farina di ceci, tuttavia non avevano la stessa consistenza né il sapore del grano. I suoi genitori erano preoccupati per la sua salute e lo spingevano ad abbandonare il suo sogno di diventare fornaio. Malgrado ciò Lapo era determinato a seguire il suo sogno di diventare il miglior fornaio di Firenze.
Un giorno, mentre si cimentava con farine varie, Lapo scoprì che la farina di avena e la farina di grano saraceno non solo erano prive di glutine ma producevano anche un’ottima consistenza ed erano gustose.
Dopo mesi di tentativi ed errori, Lapo finalmente perfezionò le sue ricette utilizzando una combinazione di farine senza glutine. I suoi prodotti da forno erano deliziosi e sicuri da consumare. La notizia delle sue creazioni senza glutine si diffuse rapidamente in tutta Firenze e presto la gente si accalcò nel suo forno per assaggiare le sue prelibatezze.
I suoi pani, fragranti di erbe aromatiche, e decorati con motivi intricati, erano diversi da qualsiasi cosa mai assaggiata prima. L’inebriante profumo dei biscotti appena sfornati attirava anche i palati più esigenti.
Iniziò a fornire pane e maccheroni senza glutine a trattorie e conventi, contentando il crescente numero di persone con restrizioni dietetiche. I cittadini si meravigliarono del fatto che le creazioni di Lapo fossero non solo deliziose bensì soprattutto nutrienti per coloro che prima non avevano potuto godere di tali delizie. Infatti il grano saraceno e l’avena godevano di un eccellente profilo nutrizionale
Lapo si guadagnò la lode e l’ammirazione dello stesso Duca di Firenze che si accorse della sua ingegnosità e lo invitò a diventare il fornaio ufficiale della corte. Lapo era talmente grato dell’opportunità che lavorava instancabilmente per creare piatti senza glutine squisiti e unici per la corte reale. Le sue paste, tra cui i maccheroni e i vermicelli, venivano condite con uvette e il pane preparato con erbe odorifere e olive.
Siccome Lapo aveva un cuore grande, regalava ai poveri il pane che costituiva la base della loro dieta, e lo mangiavano semplicemente senza condimenti. Potevano contare sulla generosità di Lapo per avere pane ai loro funerali e ai loro matrimoni.
Con il passare degli anni il forno di Lapo divenne sinonimo di eccellenza e innovazione. Le sue creazioni erano ricercate da persone provenienti da tutta Italia, e la sua fama di maestro fornaio si diffuse in lungo e in largo persino in Europa. Nonostante le sfide che dovette affrontare a causa della celiachia, la passione di Lapo per la panificazione lo portò a creare qualcosa di veramente speciale, un’eredità che sarebbe stata ricordata dalle future generazioni di fornai che avrebbero seguito le sue orme.
E così questa storia serve a ricordarci che anche di fronte alle avversità, la determinazione e la creatività possono portare a risultati notevoli. Per Lapo, il fornaio celiaco del Rinascimento, la passione per la panificazione era diventata non solo una vocazione ma un modo per fare la differenza nella vita degli altri.
Racconto di Mirella Colalillo
Leggi il seguente articolo e scarica il PDF con il vocabolario dei cibi senza glutine:
Read the article above and download the PDF with the vocabulary of gluten-free foods
English version
In the enchanting city of Florence in 16th century Italy, there lived a talented baker named Lapo. He was renowned for his delicious breads, pastries and all his baked goods which filled the air with inviting aromas. As a boy, Lapo had always loved cooking together with his father, owner of a small bakery in the heart of Florence, and as he grew up he became increasingly passionate about the art of baking, experimenting with new recipes and techniques.
But the Florentines did not know that Lapo suffered from a mysterious disease known as celiac disease. At that time, knowledge of gluten and its effects on the body was limited and Lapo’s condition was often underestimated by his fellow bakers. His belly ached and bloated after consuming even the smallest amount of wheat, barley or rye.
The symptoms of the disease including fevers and migraines were debilitating, nonetheless despite his difficulties, Lapo refused to give up his passion for baking. He experimented with alternative flours, such as rice and corn flour, millet and chickpea flour, however they did not have the same consistency or flavor as wheat. His parents were worried about his health and urged him to abandon his dream of becoming a baker. Regardless of this Lapo was determined to follow his dream of becoming the best baker in Florence.
One day, while experimenting with various flours, Lapo discovered that oat flour and buckwheat flour were not only gluten-free but also produced an excellent texture and were tasty. After months of trial and error, Lapo finally perfected his recipes using a combination of gluten-free flours. His baked goods were delicious and safe to consume. News of his gluten-free creations quickly spread throughout Florence and soon people were flocking to his bakery to sample his delicacies.
His breads, fragrant with aromatic herbs, and decorated with intricate patterns, were unlike anything anyone had ever tasted before. The heady scent of freshly baked biscuits attracted even the most demanding palates.
He began supplying gluten-free bread and macaroni to trattorias and convents, catering to the growing number of people with dietary restrictions. The citizens were amazed at the fact that Lapo’s creations were not only delicious but above all nutritious for those who had not previously been able to enjoy such delights. In fact, buckwheat flour and oat flour provided an excellent nutritional profile
Lapo earned the praise and admiration of the Duke of Florence himself who noticed his ingenuity and invited him to become the official baker of the court. Lapo was so grateful for the opportunity that he worked tirelessly to create exquisite and unique gluten-free dishes for the royal court. His pastas including macaroni and vermicelli were seasoned with raisins and his breads prepared with odoriferous bulbs and olives.
Since Lapo had a big heart, he gave bread to the poor which was the basis of their diet, and they ate it simply without condiments. They could count on Lapo’s generosity to provide bread for their funerals and weddings.
Over the years, Lapo’s bakery became synonymous with excellence and innovation. His creations were sought after by people from all over Italy, and his fame as a master baker spread far and wide even into Europe. Despite the challenges he faced due to celiac disease, Lapo’s passion for bread making led him to create something truly special, a legacy that would be remembered by future generations of bakers who would follow in his footsteps.
And so this story serves to remind us that even in the face of adversity, determination and creativity can lead to remarkable results. For Lapo, the celiac baker of the Renaissance, the passion for baking had become not only a vocation but a way to make a difference in the lives of others.
A Christmas Tale: The Treasure of the Poor by Gabriele D’Annunzio
(English follows)
Ascolta la storia:
Racconta un poeta: C’era una volta non so più in quale terra una coppia di poverelli. Ed erano, questi due poverelli, così miseri che non possedevano nulla, ma proprio nulla di nulla. Non avevano pane da metter nella madia, né madia da mettervi pane. Non avevano casa per mettervi una madia, né campo per fabbricarvi casa. Se avesser posseduto un campo, anche grande quanto un fazzoletto, avrebbero potuto guadagnare tanto da fabbricarvi casa. Se avessero avuto casa, avrebbero potuto mettervi la madia. E se avessero avuto la madia, è certo che in un modo o in un altro, in un angolo o in una fenditura, avrebber potuto trovare un pezzo di pane o almeno una briciola. Ma, non avendo né campo, né casa, né madia, né pane, erano in verità assai tapini. Ma non tanto del pane lamentavano la mancanza quanto della casa. Del pane ne avevano a bastanza per elemosina, e qualche volta avevan anche un po’ di companatico e qualche volta anche un sorso di vino. Ma i poveretti avrebber preferito rimaner sempre a digiuno e possedere una casa dove accendere qualche ramo secco o ragionar placidamente d’innanzi alla brace. Quel che v’ha di meglio al mondo, in verità, a preferenza anche del mangiare, è posseder quattro mura per ricoverarsi. Senza le sue quattro mura l’uomo è come una bestia errante. E i due poverelli si sentirono più miseri che mai, in una sera triste della vigilia di Natale, triste soltanto per loro, perché tutti li altri in quella sera hanno il fuoco nel camino e le scarpe quasi affondate nella cenere. Come si lamentavano e tremavano su la via maestra, nella notte buja, s’imbatterono in un gatto che faceva un miagolìo roco e dolce. Era in verità un gatto misero assai, misero quanto loro, poiché non aveva che la pelle su le ossa e pochissimi peli su la pelle. S’egli avesse avuto molti peli su la pelle, certo la sua pelle sarebbe stata in miglior condizione. Se la sua pelle fosse stata in condizion migliore, certo non avrebbe aderito così strettamente alle ossa. E s’egli non avesse avuta la pelle aderente alle ossa, certo sarebbe stato egli forte abbastanza per pigliar topi e per non rimaner così magro. Ma, non avendo peli ed avendo in vece la pelle su l’ossa, egli era in verità un gatto assai meschinello. I poverelli son buoni e s’aiutan fra loro. I due nostri dunque raccolsero il gatto e né pure pensarono a mangiarselo; ché anzi gli diedero un po’ di lardo che avevano avuto per elemosina. Il gatto, com’ebbe mangiato, si mise a camminare d’innanzi a loro e li condusse in una vecchia capanna abbandonata. C’eran là due sgabelli e un focolare, che un raggio di luna illuminò un istante e poi sparve. Ed anche il gatto sparve col raggio di luna, cosicché i due poverelli si trovaron seduti nelle tenebre, d’innanzi al nero focolare che l’assenza del fuoco rendeva ancor più nero. – Ah! – dissero – se avessimo a pena un tizzone! Fa tanto freddo! E sarebbe tanto dolce scaldarsi un poco e raccontare favole! Ma, ohimè, non c’era fuoco nel focolare poiché essi erano miseri, in verità miseri assai. D’un tratto due carboni si accesero in fondo al camino, due bei carboni gialli come l’oro. E il vecchio si fregò le mani, in segno di gioia, dicendo alla sua donna: – Senti che buon caldo? – Sento, sento – rispose la vecchia. E distese le palme aperte innanzi al fuoco. – Soffiaci sopra – ella soggiunse. La brace farà la fiamma. – No – disse l’uomo – si consumerebbe troppo presto. E si misero a ragionare del tempo passato, senza tristezza, poiché si sentivano tutti ringagliarditi dalla vista dei due tizzoni lucenti. I poverelli si contentan di poco e son più felici. I nostri due si rallegrarono, fin nell’intimo cuore, del bel dono di Gesù Bambino, e resero fervide grazie al Bambino Gesù. Tutta la notte continuarono a favoleggiare scaldandosi, sicuri omai d’essere protetti dal Bambino Gesù, poiché i due carboni brillavan sempre come due monete nuove e non si consumavano mai. E, quando venne l’alba, i due poverelli che avevano avuto caldo ed agio tutta la notte, videro in fondo al camino il povero gatto che li guardava da’ suoi grandi occhi d’oro. Ed essi non ad altro fuoco s’erano scaldati che al baglior di quelli occhi. E il gatto disse: – Il tesoro dei poveri è l’illusione.
Prima pubblicazione in «La Tribuna», 22 dicembre 1887, rubrica Favole di Natale, testo siglato dal Duca Minimo. Trascrizione da Gabriele D’Annunzio, Il tesoro dei poveri, in Gabriele D’Annunzio, Tutte le novelle, a cura di Annamaria Andreoli e Marina De Marco, Milano, Mondadori, 1992, pp. 702-704.
English version “The Treasure of the Poor”
A poet says: Once upon a time, I don’t know which land anymore, there lived a poor couple. And these two poor people were so miserable that they owned nothing, absolutely nothing at all. They had no bread to put in the cupboard, nor a cupboard to put bread in. They had no house to put a cupboard in, nor field to build a house. If they had owned a field, even the size of a handkerchief, they could have made money enough to build a house there. If they had a house, they could have put the cupboard there. And if they had had the cupboard, it is certain that in one way or another, in a corner or in a crack, they could have found a piece of bread or at least a crumb. But, having neither field, nor house, nor cupboard, nor bread, they were in truth very miserable. But they didn’t complain about the lack of bread so much as of the house. They had enough bread for alms, and sometimes they even had a bit of bread and sometimes even a sip of wine. But these poor people would have preferred to always remain without food and have a house to light up a few dry branches or calmly talk in front of the embers. What is best in the world, in truth, even better than eating, is to have four walls for shelter. Without his four walls man is like a wandering beast. And these two poor people felt more miserable than ever, on a sad evening on Christmas Eve, sad only for them, because all the others that evening have a fire in the fireplace and shoes almost sinking in the ash. While they were moaning and trembling on the main road, in the dark night, they came across a cat that made a hoarse and sweet meow. It was in truth a very miserable cat, as miserable as them, since it had only the skin on its bones and very few hairs on the skin. If it had had a lot of hair on its skin, its skin would certainly have been in better condition. If its skin had been in better condition, it certainly wouldn’t have clung so tightly to the bone. And if it hadn’t had skin adhering to its bones, it certainly would have been strong enough to catching mice and so as not to remain so thin. But, having no hair and instead having skin on its bones, it was in truth very much a petty cat. Poor people are good and help each other. So our the picked up the cat and didn’t even think about eating it; because in fact they gave it a some lard that they had received for alms. The cat, as soon as it had eaten, began to walk in front of them and led them to an old abandoned hut. There were two stools there and a hearth, which a ray of moonlight illuminated for an instant and then disappeared. And even the cat disappeared with the moonbeam, so that the two poor people found themselves sitting in the darkness, in front of the black hearth which the absence of fire made even blacker. – Ah! – they said – if only we had a piece of coal! It’s very cold! And it would be so sweet to warm up a little and tell fairy tales! But, alas, there was no fire in the hearth because they were miserable, very miserable indeed. Suddenly two coals lit up at the bottom of the fireplace, two beautiful coals as yellow as gold. And the old man rubbed his hands, as a sign of joy, saying to the woman: – Do you feel that good heat? – I feel it, I feel it – replied the old woman. And she spread her open palms before the fire. “Blow on it,” she added. Its embers will make the flame. – No – said the man – it would wear out too soon. And they began to talk about the past time, without sadness, because they all felt refreshed from the sight of the two shining embers. The poor are content with little and are happier. Our two rejoiced, even to their hearts, of the beautiful gift of Baby Jesus, and gave fervent thanks to Baby Jesus. All night they continued to tell stories while warming themselves, now sure of being protected by the Child Jesus, because the two coals always shone like two new coins and were never consumed. And, when dawn came, the two poor people who had been warm and comfortable all night, saw at the bottom of the fireplace the poor cat who looked at them with his big golden eyes. And they had warmed themselves with no other fire than the gleam of those eyes. And the cat said: – The treasure of the poor is illusion.
First publication in «La Tribuna», 22 December 1887, Christmas Fairy Tales column, text signed by Duke Minimus. Transcription from Gabriele D’Annunzio, The treasure of the poor, in Gabriele D’Annunzio, Tutti le novelle, edited by Annamaria Andreoli and Marina De Marco, Milan, Mondadori, 1992, pp. 702-704.
Perfeziona i verbi e la pronuncia italiana nell’Accademia dei Verbi. Troverai tanti esercizi pratici che ti aiuteranno a coniugare tutti i tempi verbali e a pronunciarli bene:
Summer of San Martino (Indian Summer) – legend and traditions
(English follows)
Capita quasi ogni anno, prima che faccia capolino l’inverno, chesi verifichi un’intervallo di bel tempo, con giornate luminose e tiepide nel pieno della stagione autunnale, nel periodo di fine ottobre-inizio novembre.
Un rialzo delle temperature mette in pausa pioggia, nebbia e freddo. Questo fenomeno avvolto da tradizioni e leggende di origine cristiana è conosciuto come l’Estate di San Martino.
La leggenda
“L’Estate di San Martino dura tre giorni e un pochino” è un popolare detto che accompagna la leggenda dell’Estate di San Martino, una tradizione popolare italiana che celebra la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno.
Si narra che un freddo giorno d’autunno, molto probabilmente proprio l’11 novembre, Martino uscendo a cavallo da una delle porte della città di Amiens, in Francia, si è imbattuto in un uomo molto povero, nudo e infreddolito. San Martino ha avuto pietà dell’uomo e ha deciso di aiutarlo. Così ha tagliato il suo mantello di lana donandogli la metà.
Pare che dopo pochi istanti abbia smesso di piovere, sia spuntato il sole e la temperatura sia diventata più mite. Quella notte Martino ha sognato Gesù rivelando di essere lui il mendicante. Quindi per commemorare quell’11 novembre San Martino mantiene la sua promessa (quasi) ogni anno, regalando un’interruzione dalla morsa del freddo e un periodo piacevole e mite.
La tradizione
L’Estate di San Martino nei Paesi anglosassoni viene chiamata “Indian Summer” (letteralmente Estate Indiana) ed è nota anche nelle culture francofone e iberofone.
Questa festività in alcune parti d’Italia è associata alla vendemmia e alla raccolta delle olive. In effetti questa piccola pausa di piacevole clima è vista come un momento di transizione e cambiamento verso l’inverno che sta per arrivare.
Una spiegazione scientifica
L’Estate di San Martino ha anche una spiegazione scientifica. Secondo molti esperti l’alta pressione, le alte temperature e il bel tempo sono dovuti all’espansione dell’anticiclone dalla Spagna verso tutto il Mediterraneo.
San Martino, da militare a santo
Martino da Tours è nato intorno al 317 da una nobile famiglia. Si è convertito al cristianesimo dopo l’episodio del mantello ed è stato battezzato. Dopo vent’anni di carriera militare è diventato Vescovo di Tours nel 371. Ha fondato il monastero di Ligugé, il più antico d’Europa.
san martino nella letteratura
L’estate di San Martino è celebrata in diverse poesie e presta il nome anche al titolo di un romanzo. Ricordiamo:
una famosa poesia di Giosuè Carducci, intitolata appunto San Martino.
una poesia di Giovanni PascoliNovembre è dedicata all’Estate di San Martino
anche Cesare Pavese ha dedicato una poesia al periodo intitolata Estate di San Martino.
L’Estate di San Martino (Nachsommer, 1857) è uno dei romanzi più celebri di Stifter.
English version
It happens almost every year, before winter sets in, that there is an interval of good weather, with bright and warm days at the height of the autumn season, in the period from the end of October to the beginning of November.
A rise in temperatures puts a pause on rain, fog and cold. This phenomenon surrounded by traditions and legends of Christian origin is known as “L’Estate di San Martino”, Saint Martin’s Summer.
The legend
“Saint Martin’s Summer lasts three days and a little” (“L’Estate di San Martino dura tre giorni e un pochin) is a popular saying that accompanies the legend of Saint Martin’s Summer, an Italian popular tradition that celebrates the end of summer and the beginning of autumn.
It is said that one cold autumn day, most likely on November 11th, Martino, horse riding out of one of the gates of the city of Amiens, in France, came across a very poor, naked and cold man. Saint Martin took pity on the man and decided to help him. So he cut his woolen cloak and gave him half of it.
It seems that after a few moments it stopped raining, the sun came out and the temperature became milder. That night Martin dreamed of Jesus revealing that he was the beggar. So to commemorate that day of November 11th, Saint Martin keeps his promise (almost) every year, granting an interruption from the grip of the cold and a pleasant and mild period.
The Tradition
Saint Martin’s Summer in Anglo-Saxon countries is called “Indian Summer” and is also known in Francophone and Iberophone cultures.
This holiday in some parts of Italy is associated with the grape harvest and olive harvest. In fact, this small break of pleasant climate is seen as a moment of transition and change towards the winter that is about to arrive.
A scientific explanation
St. Martin’s Summer also has a scientific explanation. According to many experts, the high pressure, high temperatures and good weather are due to the expansion of the anticyclone from Spain towards the entire Mediterranean.
Saint Martin, from soldier to saint
Martin of Tours was born around 317 to a noble family. He converted to Christianity after the cloak episode and was baptized. After twenty years of military career he became Bishop of Tours in 371. He founded the monastery of Ligugé, the oldest in Europe.
Saint Martin in literature
The Estate di San Martino is celebrated in several poems and also lends its name to the title of a novel. We remember:
a famous poem by Giosuè Carducci, entitled San Martino.
a poem by Giovanni Pascoli Novembre is dedicated to the Summer of San Martino
Cesare Pavese also dedicated a poem to the period entitled Summer of San Martino. (Estate di San Martino)
St. Martin’s Summer (Nachsommer, 1857) is one of Stifter’s most famous novels.
A volte basta una sola lettera pronunciata in modo errato per cambiare il significato di una parola. Prendiamo come esempio le due parole “rosa” e “rossa”. Con la prima indichiamo il fiore e, trovandosi tra due vocali, la “s” ha un suono sibilante come una “z” dolce. Mentre la seconda è un aggettivo di colore in cui la doppia “s” ha un suono forte. Quindi quando sentiamo “rosa rossa” notiamo la differenza nel suono della “s” il che ci permette di capire che parliamo di un fiore di colore rosso.
La lettera “s” ha 3 suoni particolari:
la doppia “ss“
la “s” che sembra “z”
la “s” normale (parole che iniziano con la “s” o la “s” è accanto ad una consonante
Ecco una lista di parole per esercitari.
Sometimes all it takes is one mispronounced letter to change the meaning of a word. Let’s take as an example, the two words “rosa” and “rossa”. With the first we indicate the flower and, being between two vowels, the “s” has a sibilant sound like a soft “z”. While the second is an adjective of color and the double “s” has a strong sound. So when we hear “rosa rossa” we notice the difference in the sound of the “s” which allows us to understand that we are talking about a red flower.
The letter “s” has 3 particular sounds:
la doppia “ss“/ the double “ss”
la “s” che sembra “z” / the “s” that sounds like “z”
la “s” normale (parole che iniziano con la “s” o la “s” è accanto ad una consonante / words starting with “s” or “s” is next to a consonant
Il Rasoio Vanitoso, una favola di Leonardo da Vinci
Sai, che Leonardo da Vinci tra un’invenzione e l’altra scriveva anche favole? Non c’è da stupirsi ovviamente! Anche perché la favola ha un’ origine popolare antichissima e ha preceduto qualsiasi forma letteraria. La parola “favola”, viene dal latino “fabula”, e significa parlare. Infatti, le favole avevano il ruolo di trasmettere in forma orale, la tradizione, i principi e i valori della società. Pertanto, non era destinata all’educazione dei bambini, ma a dare un significato e fornire riposte agli episodi della vita quotidiana.
Leonardo trasmette con questa favola l’importanza di allenare sempre la propria mente come faceva lui!
IL RASOIO VANITOSO Un giorno il rasoio uscì dal suo manico e si mise a prendere il Sole. Vedendo il Sole che si specchiava sul metallo lucido, il rasoio si riempì d’orgoglio e disse: “Come sono bello: perfino il Sole si specchia su di me. Eppure devo faticare ogni giorno; sono proprio stufo di tagliare barbe. Anzi, sapete cosa faccio? Me ne vado. E non tornerò più alla bottega del barbiere. Mi nasconderò e mi godrò in pace la mia bella vita”. Il rasoio fuggì lontano dalla bottega e si nascose in una grotta, per non essere trovato dal barbiere. Rimase lì per qualche mese, poi uscì dalla grotta e si mise al Sole ma questo non si specchiava più sulla sua lama: il rasoio aveva perso la sua lama ed era coperto di ruggine da cima a fondo. Disperato, si lamentò: “Ah, se solo fossi rimasto alla bottega del barbiere. Avrei dovuto continuare a tagliar barbe, così sarei rimasto ben affilato e lucente; adesso sono solo un ferro vecchio da buttare”. Questo è quel che accade a chi smette di studiare e di esercitarsi e si dà al divertimento: la sua mente, come il ferro, perde filo e lucentezza e si copre della ruggine dell’ignoranza.
(English translation)
Did you know that Leonardo da Vinci also wrote fables between one invention and another? Nothing to be surprised about of course! Also because the fable has a very ancient popular origin and preceded any literary form. The word “favola” (fable) comes from the Latin word “fabula”, and means to speak. In fact, fable had the role of transmitting the tradition, principles and values of society in oral form. Therefore, it was not intended for the education of children, but to give meaning and providing answers to events of everyday life.
Leonardo transmits with this fable the importance of always training one’s mind as he did!
THE VAIN RAZOR One day the razor came out of its handle and began to bask in the sun. Seeing the sun reflected in the shiny metal, the razor was filled with pride and said: “How beautiful I am: even the sun is reflected on me. Yet I have to toil every day; I’m just sick of trimming beards. Actually, you know what I’m going to do? I’m leaving. And I’ll never go back to the barbershop. I’ll hide away and enjoy my beautiful life in peace.” The razor fled away from the shop and hid in a cave, not to be found by the barber. He stayed there for a few months, then he came out of the cave and put himself in the sun, but it no longer reflected on his blade: the razor had lost its blade and was covered in rust from top to bottom. Desperate, he moaned, “Ah, if only I’d stayed at the barbershop. I should have kept trimming beards, so I would have remained sharp and shiny; now I’m just an old piece of iron to throw away”. This is what happens to those who stop studying and practicing and just want to have fun: their mind, like iron, loses its edge and shine, and is covered with the rust of ignorance.